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Writer's pictureLady Margot

Progetto Moonbase

Era un pomeriggio di fine inverno, l’aria era tiepida e dei timidi raggi di sole facevano capolino dalla finestra. La tazza, esalante vivaci note di caffè, fumava accanto al suo laptop. Sulla scrivania una distesa di libri, quaderni, appunti e cartoline raccolte qua e là. Tutto aveva il proprio posto, e tutto era, a suo modo, ben organizzato. Tra un meeting e l’altro, aveva iniziato ad appuntare su una pagina bianca l’ennesima poesia. In realtà erano solo parole provenienti direttamente dalle profondità del suo cuore, che sembrava avessero una inspiegabile urgenza di essere tirate fuori. Come sempre lei assecondava quel flusso senza opporre alcuna resistenza. Sapeva che avrebbero poi trovato da sole, e al giusto tempo, un modo di legarsi tra loro. Voltò lo sguardo verso la finestra, le tegole dei tetti a quell’ora riflettevano la luce e in alcuni punti apparivano persino più chiare, quasi luccicanti. Un uccellino dal petto bianco si era posato su un ramo ancora spoglio, lei lo osservò a lungo, poi notò che dei piccoli boccioli erano già cresciuti su tutti i rami dell’albero ed erano quasi pronti a schiudersi. Quella scoperta la emozionò. Guardò ancora il piccolo volatile e sorrise.

Il telefono iniziò a suonare. Si voltò verso la scrivania e lo raccolse tra le sue mani. Non riconobbe quel numero, titubò solo alcuni istanti e poi prese la chiamata. Il suo volto cambiò all’improvviso aspetto. Non aveva ascoltato quella voce per molto, moltissimo tempo. Una scossa elettrica attraversò in pochi istanti tutto il suo corpo. Rimase impietrita e per alcuni secondi non fu capace di proferire alcuna parola. Fece un respiro profondo, poi riprese un certo contegno e ruppe il silenzio. – “Non mi aspettavo di sentirti, è passato davvero molto tempo.” Anche dall’altra parte seguirono alcuni secondi di silenzio, poi una voce un po' emozionata rispose: “Spero di non disturbarti, ti pensavo e ho avuto voglia di sentire la tua voce. Come stai?” – "Come sto? Bella domanda! Bene, grazie! E tu? Tu come stai?" - “Anche io sto bene! Forse più impegnato di quando ci siamo conosciuti. Alle prese con la mia età che avanza. Immagino sia così per tutti.” Lei sorrise, pensò che aveva davvero ragione. Non si erano più visti per molti anni, ma a volte si erano ancora sentiti, principalmente per lavoro. Fu una storia fuori dagli schemi la loro, ma anche piena di passione e colpi di scena. Lui le chiese dove fosse finita, in quale parte del mondo si trovasse ora, e cosa stesse facendo, se poi avesse continuato ad inseguirlo quel suo sogno speciale. Voleva sapere tutto, voleva sapere di lei. “La vita degli adulti è complicata. Perché non me lo hai mai detto? I sogni hanno bisogno di energia, e soprattutto di libertà, per essere inseguiti. Immagino sia così che le cose vadano quando si cresce” rispose lei. – "Andiamo! Tu sei sempre stata diversa, tu sei sempre stata forte. Non avevi di certo bisogno che ti raccontassi io come si vive. Te la cavavi già piuttosto bene da sola, e non ti sei mai fermata davanti a niente, neanche davanti a noi. E ora mi vuoi dire che il mio, il nostro sacrificio sia stato del tutto vano?” Lei lo interruppe bruscamente: “Io non sapevo niente, credevo di sapere tutto, ma mi sbagliavo. Mi sbagliavo di grosso! E non mi sono mai fermata, perché sapevo che se lo avessi fatto, non sarei stata più capace di ripartire. Mi sarei arenata. Ed è proprio quello che mi succede ora!” Lui riprese in mano la conversazione, con tono assolutamente sereno: “Tu sei solo spaventata, forse anche delusa. Non era forse questa la vita che ti aspettavi? Hai finalmente scoperto che le cose non vanno sempre come avevi pianificato? Hai capito che a volte bisogna anche saper scendere a compromessi? Non ho bisogno di guardarti in volto, ti conosco bene, lo sento dalla tua voce. Qualcosa ti turba. Non voglio che tu mi dica cosa, e forse non ho neanche il diritto di saperlo. Vorrei solo invitarti a riflettere e a parlare a te stessa, sinceramente. Ma non venire a dirmi che non sei più la stessa persona che si emozionava davanti al cielo stellato di notte, e che puntando il dito alla Luna, con voce assolutamente convinta, mi diceva che un giorno avremmo avuto anche noi il nostro laboratorio extraterrestre. Non ci credo! Sappiamo entrambi che non hai mai smesso di amare il tuo sogno e di volerlo realizzare!” Lei si irrigidì, si dissociò da quella conversazione, e di colpo centinaia di momenti vissuti insieme, una valanga di ricordi, cominciarono a esplodere, come fuochi d’artificio, davanti ai suoi occhi. Fu una telefonata lunga, intensa, maledettamente bella e anche complicata. Parlarono a lungo, si raccontarono tutti gli avvenimenti più importanti degli ultimi anni, gli eventi felici, quelli meno belli, i traguardi raggiunti, i momenti più difficili. Parlarono a cuore aperto e senza filtri, come se il tempo non fosse mai passato, come se le cose tra loro non fossero mai veramente cambiate. Con lo sguardo perso e la voce rotta dal pianto lei gli disse: “Apprezzo il tuo interessamento e il fatto che come sempre cerchi di spingermi a fare meglio, ma io non sono più la stessa persona che hai conosciuto anni fa. Credimi. Non sono più la stessa ragazzina ingenua che crede che i sogni vadano realizzati ad ogni costo. A volte il prezzo da pagare per inseguire un sogno è davvero troppo alto. Ed io ho già rischiato e perso tutto tante, troppe volte. Anche con te. Ed ora non posso più permettermelo. E forse ora non ne sono più capace. Mi dispiace deluderti, ma io non sono più la stessa. La vita è andata avanti, noi siamo andati avanti. Dimentica chi ero, dimenticami!” Allora lui, con quel suo solito tono deciso e quel sorriso sempre brillante, le rispose: “Queste sono tutte stronzate che racconti a te stessa solo perché hai paura. Paura di scoprirti ancora una volta all’altezza, paura di renderti conto che puoi farcela anche da sola, paura di uscire dalla bolla in cui ti sei rinchiusa, di stravolgere ancora una volta la tua vita e di essere davvero felice. Ma ti svelo un segreto, tutti abbiamo paura, ogni giorno. Io sono solo abbastanza vecchio da poterlo affermare con più certezza di te. Avere paura è normale, e forse anche positivo, perché ci protegge e ci aiuta a ponderare le nostre scelte. Tu però non puoi davvero lasciare che la paura ti paralizzi in questo modo, che comprometta tutto il resto della tua vita. Devi sbloccarti e andare avanti. Devi fare quel passo in più. Devi trovare il coraggio di ripartire. Se c’è qualcuno che può farlo, beh quella, cara mia, sei tu!” Lei percepì una gran rabbia ribollirle nello stomaco. Non era arrabbiata con lui, ma con se stessa. Sapeva che tutto ciò che lui stava dicendo era vero, sapeva che stava colpendo nel centro. Ed era arrabbiata perché doveva arrivare proprio lui, ancora lui, dai ruderi del suo passato, a ricordarle chi era, da dove veniva e perché era arrivata fin lì. Poi lui seguì: “Tu sei sempre tu, la ragazza che un soleggiato mattino di Maggio al suo primo giorno di lavoro irruppe nel mio ufficio, mentre ero in riunione con i miei colleghi, solo per chiedermi una stupida firma sul suo modulo di tirocinio. E che non se ne andò senza prima averla ottenuta. Sei sempre tu, la ragazza più silenziosa del corso, la migliore del corso, quella che mi osservava senza mai dire niente, la ragazza con gli orecchini di perla, le labbra scarlatte e le mani sempre sporche di inchiostro, la ragazza forte e determinata di cui un giorno mi innamorai perdutamente. Sei sempre tu, solo più donna e forse con abitudini differenti.” Lei diventò rossa in volto e non disse niente per alcuni istanti, era sconvolta, e si chiedeva come aveva potuto non pensarci anche lei. Lei che in questo momento della sua vita si sentiva così vulnerabile, insicura, confusa, persa. Lei che non sapeva più niente e che aveva perso qualunque certezza. Scoppiò in lacrime. E lui la lasciò fare, senza dire più niente. Come aveva fatto solo poche altre volte in passato. “Va meglio, piccola?” – chiese lui, con tono assolutamente dolce, quasi paterno. Il suo volto bagnato e lievemente arrossato cambiò di colpo espressione. Nessuno l’aveva più chiamata così. Un mezzo sorriso si fece largo sul suo volto. “Tu sei sempre stato il più saggio tra i due. E tu sei sempre stato bravo a consolarmi. Grazie. Grazie di cuore”. Con voce più seria rispose lui: “Sai, mentre ti pensavo mi sono chiesto a lungo se fosse giusto telefonarti. Ora che ti ho sentita so di aver fatto la cosa giusta. In qualche modo sapevo che avevi ancora bisogno di me. Ora devo proprio salutarti piccola. Spero di risentirti presto. Nel frattempo, tu prenditi cura di te e brilla. Brilla, come hai sempre fatto. Ti abbraccio forte!” Si asciugò le ultime lacrime e con tono molto più rilassato lo salutò anche lei: “È stato bello sentirti. Ti ringrazio per avermi fatto ricordare chi sono. Prenditi cura di te. A presto.” Chiusero la telefonata, poi lei si voltò verso la finestra e notò che il sole era già più basso nel cielo. Guardò le nuvole bianche all’orizzonte, sollevò le braccia e intrecciò le mani. Fece scricchiolare le dita. Poi in un impeto di coraggio aprì il suo laptop e cercò una cartella che un giorno, tanti anni prima, aveva denominato Moonbase. Cliccò sull’ultimo file e lo osservò incredula per alcuni istanti. La data di ultima modifica risaliva a Luglio 2020. Non lo aveva più aperto da allora. Tirò un lungo sospiro, si morse ripetutamente il labbro come faceva sempre quando cercava l’ispirazione, e poi di colpo, come un fiume in piena, iniziò semplicemente a scrivere. E non si fermò più fino a sera.


Lady Margot

Febbraio/Marzo 2023

Progetto Moonbase - un racconto breve

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