Il rimorso
Questo pomeriggio mi sono imbattuta in un interessantissimo episodio di Ore Contate, un podcast creato da Enrico Fedi, un bravo scrittore e poeta fiorentino che ho avuto il piacere di conoscere solo recentemente. Il titolo deve avermi colpito molto, perché non sono solita ascoltare podcast in italiano, ma ancor più deve avermi colpito il suo contenuto, perché ora, in piena notte (è circa l’1 del mattino mentre scrivo), mi ritrovo sveglia a scrivere sull’argomento. Con mia grande sorpresa, la sua puntata inizia con la lettura di una bellissima poesia di Jorge Luis Borges, tradotta in lingua italiana, che s’intitola appunto Il rimorso. E proprio da questa anche io voglio partire. Non analizzerò il testo della poesia, ma vi invito certamente ad ascoltare il suo episodio.
Il rimorso
Ho commesso il peggiore dei peccati che un uomo possa commettere. Non sono stato felice. Che i ghiacciai dell’oblio possano travolgermi e disperdermi, senza pietà.
I miei mi generarono per il gioco rischioso e stupendo della vita, per la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco. Li frodai. Non fui felice. Realizzata
non fu la giovane loro volontà. La mia mente si applicò alle simmetriche ostinatezze dell’arte che intreccia inezie.
Ereditai valore. Non fui valoroso. Non mi abbandona, mi sta sempre a lato l’ombra d’essere stato un disgraziato.
Già durante l’ascolto i versi di questa poesia hanno catturato la mia attenzione, e sebbene io non mi identifichi propriamente con l’immagine dell’uomo che non ha avuto il coraggio di vivere a pieno la propria vita e di esser stato felice, o almeno di non averci neanche provato a cercarla la felicità, riconosco il mio essere umana e pertanto accetto l’idea che in alcuni momenti della mia vita, quella mancanza di valore di cui Borges parla, può aver interessato anche le mie scelte e chissà, forse ancora in futuro lo farà.
L’episodio ha preso una strada ancora più interessante, perché Enrico Fedi non si sofferma solo sugli aspetti relativi alla individualità e alle corde più profonde e intime che questa poesia può toccare, ma fornisce a mio avviso un originale parallelismo tra il mondo interiore, che attraverso il nostro percorso e le nostre scelte, giorno dopo giorno, coltiviamo, e quello esteriore, in cui poi siamo tenuti a vivere e soprattutto ad apportare, la società in cui viviamo. Ed è proprio questo suo parallelismo, in particolare una sua frase che di seguito cito, ad avermi ispirato poi a riflettere su questo e altri temi.
Quanto spazio c'è per la vera felicità dell'uomo in questo mondo? – cit.
E così ho riflettuto sulla dipendenza tra il nostro mondo interiore, il modo in cui noi lo percepiamo e ci percepiamo, e il modo in cui poi ci comportiamo, la maniera in cui trattiamo le altre persone, in cui instauriamo le nostre relazioni. E ho cercato anche di immaginare come tutto questo si rifletta nel collettivo, nella fitta rete di interazioni che si sviluppano tra individui e che poi costituisce la maglia della nostra società. E questo mi ha poi portata a riflettere sul perché ogni società sia così differente, in che misura il retaggio storico-culturale abbia un peso e in che misura invece la individualità del singolo si manifesti poi nelle caratteristiche e nelle dinamiche sociali. Non ho potuto non considerare in riferimento a questo punto le fortissime differenze, che ora percepisco in modo molto netto, tra la società italiana, in cui sono nata e cresciuta per gran parte della mia vita, e quella tedesca, di cui sono figlia adottiva ormai da diversi anni.
Ho pensato che se viviamo in un'epoca in cui, più che in qualunque altro momento storico, abbiamo a disposizione una smisurata quantità di strumenti per capirci, per analizzarci, per interrogarci, per guarirci, non dovrebbe questo in qualche modo riflettersi anche nel mondo esteriore, in cui poi viviamo e ci relazioniamo? Non dovrebbe questo generare interazioni sociali più sane, maggiore integrazione e comprensione dei bisogni degli altri, maggiore partecipazione alla vita pubblica, alle scelte che non toccano solo il singolo ma che determinano le sorti della collettività, maggiore sensibilità verso le problematiche che non colpiscono noi in prima persona, una simultanea diminuzione dei sentimenti di odio e di superiorità, ma anche di razzismo e di tutto ciò che induce poi alla disparità sociale?
La mia percezione stride però con questo ragionamento, poiché ho invece la sensazione che ci si stia alienando sempre di più. Che tutta questa ricerca compulsiva del benessere psico-fisico ci stia forse spingendo a focalizzare la nostra attenzione sempre più solo su noi stessi e sempre meno su ciò che abbiamo intorno?
Certo, forse questo discorso non può essere slegato dalla questione relativa allo sviluppo della tecnologia, della diffusione dei mezzi di comunicazione moderni e del loro effetto sul singolo e sulla massa. Ma anche qui, mi viene da chiedermi, cosa ha favorito cosa? Dovremmo considerarci noi oggi, in quanto società, solo il mero riflesso di una profonda mutazione causata dal dilagante incombere delle nuove tecnologie, alla stregua di un semplice effetto collaterale? O è la tecnologia stessa la concretizzazione di un bisogno dell’uomo, quello di rivolgere il proprio sguardo sempre più verso se stesso e sempre meno verso la comunità in cui esso vive, e di conseguenza le profonde trasformazioni nei rapporti sociali da ciò generatesi ne risultano solo l’effetto collaterale?
Non credo di avere le competenze per avventurarmi in un’analisi sociale di tale portata, ma mi piace l’idea di poter condividere ciò che penso, ed eventualmente innescare un confronto costruttivo e ascoltare le opinioni altrui.
Intanto ringrazio moltissimo Enrico, con cui peraltro ho avuto il piacere di chiacchierare qualche ora fa sul tema, per il suo interessante contributo. Gli rinnovo anche i miei più sinceri auguri per il suo nuovo progetto Ore Contate.
Buonanotte,
Lady Margot
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